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  • Seward Johnson_Il Risveglio
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  • Sala d'Ercole nel Palazzo dei Priori
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  • Quartiere medievale di San Pellegrino
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  • Esposizione modelli Macchina di Santa Rosa
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Viterbo e suoi dintorni tra Papi e mostri
sacro e profano, storia e natura

Viterbo è una delle massime espressioni di quell’atmosfera provinciale delle città del Centro Italia che tanto ci piace. Intima ma allo stesso tempo solenne nella sua storia, elegante ma “alla mano” da mettere a proprio agio chi la visita, la capitale della Tuscia, territorio corrispondente in parte all’antica Etruria, si lascia visitare in un weekend (con almeno un’escursione nei dintorni).

Noi ci siamo arrivati in camper (che abbiamo parcheggiato nel piazzale di Porta Faul), proprio di fronte alla mastodontica opera di Seward Johnson “Il Risveglio”. Dal prato fuoriescono una mano, un piede e un grande volto di un gigante che sembra finalmente riuscire a riemergere dalle viscere della terra. Una metafora ed un’esortazione al risveglio collettivo delle coscienze. Un artista già noto ed amato nel Lazio per aver realizzato la statua “Embracing Peace” (Unconditional Surrender), che raffigura il bacio tra la crocerossina e il marinaio americano a Times Square alla fine della Seconda Guerra Mondiale, sul lungomare di Civitavecchia.

Proprio di fronte, i comodi ascensori cittadini ci hanno condotti direttamente nella piazza più scenografica della città, porta d’ingresso privilegiata del centro storico: piazza San Lorenzo. Cominciamo la nostra visita proprio da Palazzo dei Papi e Cattedrale, che qui si affacciano.

Il Palazzo ha ospitato il primo ed il più lungo conclave della storia papale (1.006 giorni, dal 1268 al 1271). A dirla tutta, sembra sia nata proprio qui la parola conclave: esasperati dal fatto che i cardinali non riuscissero ad eleggere un nuovo Papa, i viterbesi –capeggiati dal Capitano del Popolo, Raniero Gatti, esponente della più importante famiglia guelfa della città- li misero sotto chiave, a pane ed acqua e sotto le intemperie (diveltando il soffitto) pur di costringerli a prendere una decisione. Visitatelo con il ViterboPass, insieme ad altre 5 attrazioni imperdibili della città (tra cui anche Palazzo dei Priori e Museo dei Portici, Museo Civico, Museo del Sodalizio dei Facchini di Santa Rosa, Museo della Ceramica della Tuscia e Teatro dell'Unione). Nell’Aula del Conclave e nella Sala Gualtiero sono custodite testimonianze preziose del primo conclave. Proseguite verso la Loggia dei Papi, con una serie di archi ogivali trilobati che caratterizzano l’intera piazza, dalla quale ammirare uno splendido panorama sulla sottostante vallata.

L’audioguida vi accompagnerà nella visita della Cattedrale di San Lorenzo e della sagrestia (considerata tra le più belle del Centro Italia), rivestita in radica di noce ed oro e dalla volta affrescata con un gioco di illusioni prospettiche davvero interessante. La Cattedrale rimaneggiata dopo il disastroso bombardamento del 1944, conserva la mirabile pavimentazione della navata centrale, caratterizzata dal motivo cosmatesco, formato da piccoli tasselli di marmo, granito, ceramica e materiali da recupero. Accanto ci sono il Museo Civico, inaugurato nel 2005, dove ammirare reperti di Viterbo e della Tuscia, come il sarcofago etrusco in terracotta, icone di scuola bizantina ed oggetti sacri, e la Pinacoteca che custodisce il Presepe, realizzato in una pala d’altare nel 1488 dal viterbese Antonio del Massaro detto il Pastura, allievo del Pinturicchio e del Perugino.

Abbiamo proseguito la nostra visita a Palazzo dei Priori, dapprima godendo della bella vista dal verde cortile: tra sarcofagi etruschi, iscrizioni lapidee e stemmi nobiliari e papali, si erge la bella fontana seicentesca impreziosita da due coppie di delfini e, sulla sommità, due leoni rampanti in bronzo, aggiunti nell’Ottocento. Entrando poi nell’edificio, inizialmente residenza del Governatore e solo nel Cinquecento diventato sede dei Priori, si susseguono una serie di ambienti riccamente decorati (la Sala della Madonna, la Sala Regia, la Sala dei Paesaggi e la Sala dell’Aurora) fino alla cosiddetta Sala d’Ercole, ancora oggi utilizzata per la riunioni del Consiglio Comunale, con i doveri civici dei governanti a lettere dorate sugli stalli di legno e con la bigoncia dove parlavano anticamente i consiglieri rivolta verso l’assise. Assai gradito dalle famiglie il colorato travel kit per i bambini, con una mappa ideata ad hoc con itinerari ed approfondimenti sulla città. Interessante anche il Museo dei Portici, sede distaccata di quello Civico, anch’esso incluso nel ViterboPass. Ospita la Flagellazione (1525) e la Pietà (1512-1516) di Sebastiano del Piombo (quest’ultima considerata il suo capolavoro), oltre a numerose esposizioni temporanee. Durante la nostra visita, abbiamo potuto apprezzare quella dedicata a due geniali pittrici del nostro secolo: l’ucraina Maria Prymachenko e la sarda Bonaria Manca.

Abbiamo poi girovagato per il caratteristico quartiere medievale di San Pellegrino, la cui omonima via è tutta un susseguirsi di “profferli” (scale esterne che portano al pianerottolo di ingresso alle abitazioni) e “case a ponte” (costruzioni che uniscono le case dirimpettaie creando suggestivi passaggi coperti). Spingendo lo sguardo oltre i portoni, si possono inoltre apprezzare i “richiastri” (cortili interni condivisi) ed alzandolo verso il cielo, le “case torri” dei ricchi aristocratici. Meritano una visita anche le chiese di San Silvestro e, soprattutto, Santa Maria Nuova. Nella prima, costruita prima dell’anno 1.000, Guido di Montfort vendica il padre, uccidendo durante la messa il principe Enrico di Cornovaglia (1271), come ricorda anche Dante nella Commedia. La chiesa di Santa Maria Nuova, al confine al confine del quartiere medievale di San Pellegrino, è invece particolarmente amata dai viterbesi per aver ospitato per secoli le adunanze del popolo ed essere stata lo scrigno delle finanze comunali. Qualcuno la data addirittura nel 380, vista la presenza della testa di Giove sulla facciata. Da notare, il pulpito esagonale da cui predicò San Tommaso d’Aquino nel 1266 ed il chiostro sepolto per secoli e riscoperto solo nel 1954.

Spingendosi ancora oltre, ci si imbatte in una zona meno battuta ma parimenti interessante della città: il quartiere di Pianoscarano, un tempo separato da San Pellegrino dal fiume, ormai interrato e trasformato in splendidi giardini con oche, cigni e papere. Al centro c’è la famosa fontana scenario della rivolta dei viterbesi (che qui si rifornivano di acqua potabile) contro Papa Urbano V ed i suoi Cardinali che avevano permesso ad un servo di lavarvi un cane. Ne scaturirono giorni di guerriglia, conclusi con la distruzione della fontana, delle torri dove abitavano i capi dei rivoltosi (motivo per cui non ce ne sono in questo quartiere) e l’impiccagione di 10 dei 60 prigionieri (50 furono “graziati” per intercessione di un Cardinale viterbese presso il Papa).

Per raggiungere la chiesa ed il monastero di Santa Rosa, Patrona della città, abbiamo attraversato il vivace Corso Italia, tra negozi e botteghe. Abbiamo dapprima visitato l’umile abitazione annessa al monastero, uno dei primi francescani in Italia ed il primo femminile a Viterbo, dove la Santa nacque e compì numerosi miracoli nel XIII secolo. Siamo poi arrivati alla chiesa, restaurata nel 1850, che ne custodisce il corpo, miracolosamente conservatosi intatto, nonostante dapprima interrato senza bara e poi conservato e traslato senza particolare tecnologie conservative. Il monastero, affacciato su un cortile pieno di profumate rose, è anche il luogo dove approfondire la tradizione della Macchina di Santa Rosa, che si tiene in memoria della traslazione avvenuta il 4 settembre 1258. La sera del 3 settembre, infatti, la statua viene trasportata in processione su un baldacchino trionfale illuminato chiamato la Macchina di Santa Rosa, Patrimonio immateriale dell’umanità dell’UNESCO dal 2013. Alto 28 metri (29,50 quando già issato - ben oltre la maggior parte degli edifici del centro storico) e pesante circa 50 quintali, viene trasportato a spalla da 113 facchini per un percorso di circa 1,2 km, di cui l’ultimo tratto fino al Santuario di ripida salita. Un momento di straordinaria partecipazione, in cui fede, ammirazione e prestanza fisica si uniscono in onore di questa piccola (era alta 1,55 mt) grande donna, morta a soli 18 anni, ma amata e venerata nei secoli.

Per fare contenti anche i bimbi, allontanatevi di un quarto d’ora da Viterbo e raggiungete in collina il borgo di Bomarzo. Sorge qui il Sacro Bosco . All’ingresso vi sarà fornita un’utile mappa che vi permetterà di non perdere nemmeno una delle 40 statue disseminate in quest’area verde che risulta essere il più antico parco di sculture del mondo moderno.

Pier Francesco Orsini, detto Vicino, signore di Bomarzo sino al 1581, lo realizzò facendo scolpire le rocce sul posto, trasformandole in creature oniriche, a volte minacciose, a volte suadenti, in un alternarsi unico nel suo genere perché non rispondente ai dettami progettuali dei giardini all’italiana. Nessun rapporto prospettico o proporzionale tra le sculture: qui la natura e l’arte alimentano esse stesse quella sensazione di fascino e mistero che accompagna il visitatore tra personaggi della mitologia, animali, edifici pendenti, a cominciare dalla gigantesca maschera con la bocca spalancata raffigurante la faccia di un orco, simbolo del Parco, a pochi metri dal suo ingresso.

Per i più piccoli, una graziosa area giochi tematica, con possibilità di mangiare un boccone nel bar-paninoteca, nella locanda vista parco o nell’area pic nic. Comodo il parcheggio esterno (anche per i camperisti, che possono sostare la notte nel piazzale a qualche centinaio di metri). Un luogo di verde ed arte, suggestione e storia, che piacerà certamente a grandi e piccini.


Testi  Maristella Mantuano

Foto  V. Liotine




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