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Venezia sorprende sempre: tutto sul quartiere degli intellettuali e su quello ebraico

Venezia è la classica città dove si può tornare a distanza di tempo e scoprire ogni volta angoli nuovi, più autentici e lontani dalle attrazioni turistiche.

Volutamente non ci soffermiamo su queste ultime, come piazza San Marco o il ponte di Rialto. Piuttosto vi suggeriamo di tornarci di sera, quando i turisti sono altrove, magari a cena o a ritemprare le membra dopo le lunghe camminate ed i tanti ponti in laguna. Perdetevi nelle calli dei sestieri decentrati ancora più affascinanti con l'immancabile nebbia della laguna tra le più grandi d'Europa, attraversate campi e campielli (l'unica "piazza" è San Marco) e fatevi portare da una sponda all'altra del Canal Grande da una delle tante gondole “traghetto” (più spartane, ma anche molto più economiche di quelle tradizionali) per pochi euro.

Il nostro itinerario comincia nel sestiere Dorsoduro, dall'atmosfera romantica e raccolta. Il nome deriverebbe dal terreno più stabile (dorso-duro) e meno paludoso, che in altre zone della laguna. Risiedono qui moltissimi artisti ed intellettuali, come un tempo Peggy Guggenheim, che ha lasciato a Venezia uno dei principali musei italiani d'arte europea e statunitense del XX secolo. Tra le opere maggiori, che attraggono ogni anno oltre 400mila visitatori, capolavori di Magritte, Picasso, Kandinskij, Duchamp, Ernst, Boccioni, Chagall, Dalí e Pollock. Altra imperdibile personale di arte moderna e contemporanea è quella di Francois Pinault a Palazzo Grassi e Punta della Dogana, in ambienti restaurati e allestiti dal pluripremiato architetto giapponese Tadao Ando. E ancora: fu proprio Napoleone Bonaparte nel 1807 a trasferire a Dorsoduro anche la famosa Galleria dell’Accademia.

Dorsoduro è anche la sede della Università Ca’ Foscari. Per questo, café di giorno e bacari o osterie di sera, pullulano di studenti, specie in campo Santa Margherita. Tra le prime leggende urbane che i fuorisede conoscono c’è sicuramente quella del Ca’ Dario, il palazzo “maledetto” affacciato sul Canal Grande, uno dei più caratteristici di Venezia, tanto da essere scelto da Monet come soggetto di una serie di dipinti impressionisti. Secondo una presunta maledizione, chiunque ne diventi proprietario è destinato a finire sul lastrico o a morire prematuramente. Il susseguirsi di morti e tracolli finanziari nelle famiglie che l’hanno posseduto dal 1487 si interrompe nel 1978 con l’ultimo proprietario, il finanziere Raul Gardini, morto nel 1993 in condizioni mai chiarite. Da allora è stato solo dato in fitto, ma anche il bassista inglese che vi soggiornò nel 2002, John Entwistle, morì d’infarto dopo una settimana.

Da non perdere, specie di questi tempi, la Basilica Santa Maria della Salute, la cui costruzione iniziò in piena epidemia pestilenziale nel 1631, come voto per la salvezza dei veneziani. Al termine dei lavori, i morti nella sola laguna furono 80mila. Proprio qui, lo scorso 1 marzo, nel pieno della pandemia di Coronavirus, il Patriarca di Venezia vi ha celebrato Messa alla presenza di pochi seminaristi e religiose, affidando alla Madonna la salvezza della città e di tutte le terre venete. Imponente esempio di barocco veneziano, riconoscibile a distanza per la sua enorme cupola, custodisce nella sagrestia (un tempo a beneficio solo del clero) capolavori di Tiziano e Tintoretto.

Il nostro itinerario prosegue nel quartiere ebraico, tra i più antichi d’Europa, il primo ad essere chiamato “ghetto”. Con un decreto governativo del 1516, si stabilì che tutti gli ebrei residenti a Venezia, in prevalenza provenienti dall’Europa centro-orientale, dovessero trasferirsi qui dove erano situate le fonderie (“geti” in veneziano) e fossero obbligati a portare un segno di identificazione ed applicare i tassi imposti dalla Repubblica della Serenissima nei propri banchi di pegno, in cambio di libertà di culto e protezione in caso di guerra. La notte il ghetto veniva chiuso e custodi in barca facevano ronde notturne per impedire evasioni.

A testimonianza del continuo aumento del numero di residenti, ben cinque sinagoghe (“scole” in veneziano) e palazzi molto più alti di quelli dei sestieri vicini (non potendo espandersi in larghezza, dovevano trovare soluzioni abitative in altezza). La fine della segregazione arriva nel 1797, dopo la caduta della Serenissima, per mano di Napoleone. Ma i tempi bui erano destinati a tornare: nel 1938, anno di promulgazione delle leggi razziali fasciste, furono deportati dal ghetto di Venezia ben 246 ebrei. Di questi solo 8 fecero ritorno dai campi di sterminio.

Il simbolo della Torah sulle porte delle abitazioni, la kippah in testa ai bambini che giocano nel campo, i profumi di piatti kosher dai ristoranti ed affollate cerimonie nella sinagoga a dispetto del passato drammatico, lo rendono adesso un luogo autentico e vitale, come del resto tutte le zone meno turistiche di Venezia. Quelle che ci fanno venire il desiderio di tornare in questa città unica al mondo, prima ancora di averla lasciata.

ESCURSIONE A BURANO

Cercate di includere, durante la visita a Venezia, un’escursione all'isola di Burano, raggiungibile da Cannaregio in mezz'ora grazie ad un comodo vaporetto (imbarco alla fermata Fondamente Nove). Tempo permettendo, scendente alla fermata Mazzorbo (una prima di Burano): attraverso un percorso nel verde di cinque minuti arriverete al molo in contemporanea al vaporetto. Questo pittoresco paesino è noto per le sue casette variopinte affacciate sui canali (i proprietari sono tenuti a pitturarle ogni anno dello stesso colore). Non solo un vezzo artistico: i tanti pescatori in arrivo dalla laguna possono così riconoscere la loro anche in giorni di nebbia fitta. A rendere famosa quest'isola sono anche i merletti ed i ricami all'uncinetto famosi in tutta Europa: pare che il re Filippo II di Spagna ordinò alle donne di Burano di ricamare il corredo per Maria Tudor.


GLI INDIRIZZI GIUSTI PER IL SOGGIORNO

E' a Dorsoduro "Fujiyama", l'unica sala da tè di Venezia, dove poter scegliere tra cinquanta tisane ed infusi di tutto il mondo da accompagnare con deliziose torte di giornata. Nelle belle giornate ci si può ritrovare nel giardino fiorito. La padrona di casa Elena, veneziana doc ed aiuto regista cinematografica, gestisce da otto anni la sala da tè e quattro camere in formula b&b. Scambiate quattro chiacchiere e fatevi consigliare i luoghi e gli eventi più cool del momento.

Anche nel caotico sestiere San Marco, oltre Canal Grande, si possono trovare angoli intimi ed autentici. Prova ne è campo Santo Stefano sul quale si affacciano splendidi palazzi d'epoca, l'omonima chiesa gotica e quella di San Vidal. In una piccola calle alle spalle della piazza sorge "Bloom", sontuoso b&b di charme al terzo e quarto piano di un palazzo del '600. Quattro splendide camere, dotate di ogni confort e fastosamente arredate con temi cromatici, una libreria lounge e un terrazzo a lume di candela. Ovunque tessuti pregiati, opere d'arte e mobilio di fattura artigianale.

Per chi ha voglia di vivere Venezia in totale libertà, la guesthouse "Gio'&Gio'" e' l'ideale. In una palazzina indipendente alla spalle di Campo Santa Maria del Giglio, un appartamento arredato con gusto composto da tre stanze con bagno. Alla fine della serata ci si ritrova con gli altri ospiti nel salone a scambiare impressioni ed esperienze, a leggere un libro, guardare la tv o ascoltare un po' di musica. Una chicca: dalle finestre si sentono chiacchierare i gondolieri ormeggiati nel canale sottostante.


Testi  Maristella Mantuano




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