• Colobraro arroccata sulla collina
  • La piazza di Colobraro
  • La Valle del Sinni
  • Mario Favoino
  • Il pino Loricato di Favoino
  • Vicoli del centro storico di Colobraro
  • La passeggiata intorno al castello
  • I passaggi stretti del centro
  • La diga di Monte Cotugno
  • La Tenuta Fortunato
  • Antonio Guerriero
  • Le bontà della Tenuta
  • I peperoni IGP di Senise
  • L'essicazione
  • La grotta del brigante
  • I cavalli della Tenuta
  • Il tramonto alla Tenuta
  • La chiesa di San Francesco a Senise
  • Il centro storico medievale di Senise
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Viaggio tra maghe e peperoni. Benvenuti nella Valle del Sinni (e della diga che abbevera il Sud)

Chissà se la maga di Colobraro, il paese lucano scaramanticamente innominabile, aveva predetto che nella vallata del Sinni sottostante i suoi 650 mt, sarebbe stata costruita la diga in terra battuta più grande d’Europa.

“Chille paìse” lo chiamano i lucani, pur di non nominarne il nome. La pessima nomea deriva da un aneddoto precedente alla seconda guerra mondiale. L'allora podestà (il sindaco di oggi), avvocato di grande cultura e persona molto nota, alla fine di una sua affermazione avrebbe detto: "Se non dico la verità, che possa cadere questo lampadario". A quanto pare il lampadario sarebbe caduto davvero. A questo si aggiunge che visse a Colobraro nel secolo scorso la famosa maga "Cattre", al secolo Maddalena la Rocca, alla quale ricorrevano da tutta la Basilicata per eliminare il malocchio. Il famoso antropologo Ernesto De Martino visitò il paese nel 1952 e nel 1954, la incontrò e riferì di essere stato protagonista di episodi sfortunati e misteriosi insieme al suo gruppo di ricerca.

Al giorno d’oggi Colobraro è un paesino di 1.320 abitanti, con un centro storico spesso avvolto dalla nebbia, fatto di ripide salite e passaggi angusti, dove inerpicarsi tra gli sguardi ed i saluti della gente, scarsamente abituata all’intrusione di forestieri ma pur sempre cordiale, ed il silenzio inquietante delle case degli emigranti, che si ripopolano quasi esclusivamente d’estate. La passeggiata intorno alle rovine del castello, tra muschi e vegetazione incolta, offre una vista di insieme interessante.

E’ in questo luogo per molti “maledetto” che trova ispirazione Mario Favoino, un fabbro scopertosi artista. Nel suo studio con affaccio sulla vallata (“quando il cielo è terso – ci dice- da qui si vede persino il golfo di Taranto e le sue luci”) ritrae panorami e simboli del posto (il pino loricato del vicino Pollino, il castello di Chiaromonte, etc) utilizzando il metallo intagliato, raschiato e levigato, invece della pittura. Un artista da scoprire.

A 19 chilometri, sorge invece Senise che, con i suoi 7mila abitanti, a confronto, sembra una metropoli. Anche qui la storia non sembra essere stata troppo clemente: si narra che il paese fosse posto più in basso, ma per una mortifera malaria fu abbandonato ed edificato nel punto dov'è attualmente, occupando l'intera collina a forma di triangolo, delimitata a valle del torrente Serrapotamo, ed ai lati da due profondi valloni che costituiranno una vera e propria difesa naturale.

Il convento (ora sede del Municipio) e la Chiesa di San Francesco sono luoghi di notevole ricchezza artistica, specie se paragonata alla semplicità dell’edilizia del centro storico del paese, sviluppatosi ai piedi di un castello medievale, lungo le pendici del colle, e costituito da vicoli e caseggiati anch'essi medievali (un labirinto per i forestieri). Degni di nota i portali dei palazzi nobiliari: Palazzo Donnaperna, Palazzo Sole, Palazzo Marcone e Palazzo Barletta. L'esterno della chiesa, in pietra locale a vista, è caratterizzato da un portale ad ogiva gotico che contrasta, per la sua essenziale austerità, con gli stucchi interni del XVII secolo e con il soffitto ligneo cassetto nato. Custodisce affreschi di età medievale, lapidi funerarie, un polittico del pittore Simone da Firenze nel presbiterio (XIV secolo ) ed un coro ligneo intagliato con motivi decorativi.

Provate a chiedere a qualcuno informazioni sulla diga sottostante di Monte Cotugno: ascolterete pareri e versioni contrastanti, ma avrete la certezza assoluto che l’entrata in funzione nel 1983 ha cambiato la vita di gran parte della gente del posto. Questo enorme bacino, in cui convogliano le acque del torrente Sarmento e del fiume Agri, soddisfa il bisogno irriguo del metapontino e di gran parte della Puglia, è spesso teatro di gare nazionali di canottaggio ed è circondato da campi coltivati ad oliveti ed alberi di mandorlo.

Affacciata sulla diga e sull’intera vallata sorge la Tenuta Fortunato: 80 ettari di pascolo, vigna ed orto. Fattoria didattica riconosciuta dalla Regione Basilicata, offre ai propri ospiti la possibilità di partecipare ad interessanti laboratori sull’allevamento del maiale, delle pecore e dei cavalli, sull’orto e sull’uva, e di visitare la Casa Contadina, dov’è stato ricreato l’ambiente domestico rurale di un tempo. Un open space (come si direbbe oggi) completo di tutto: letto matrimoniale, culla pendula a soffitto, gabbia per le galline, toilette, etc. Ed è qui che il signor Antonio, volto ed anima della Tenuta Fortunato, vi spiegherà il procedimento per essiccare il re della gastronomia locale: il peperone di Senise, chiamato in dialetto "zafaran" e riconosciuto prodotto IGP. Secondo i metodi locali, i peperoni vanno tenuti in luoghi arieggiati, non direttamente al sole, appesi a lunghi serti. Un ultimo passaggio rapidissimo nel forno elimina i residui di umidità ed agevola l’eventuale molitura per ottenere la famosa polvere.

Antonio e sua moglie Eleonora ve li faranno assaggiare cruschi cioè fritti (e potrete acquistarne di loro stessa produzione, insieme ad altre bontà come salse, miele, olio, pasta, prodotti sott’olio) nella bella veranda vetrata con vista panoramica. Potrete, inoltre, gustare le tapparedde (come le orecchiette pugliesi, ma stirate con dita invece che con il coltello) con sugo di pomodorini freschi o con funghi cardoncelli, i formaggi immersi nella sanza o nel mosto, la salsiccia a punta di coltello ed il vino rosso della casa. A colazione, invece, torte home made, uova alla coque freschissime e marmellata ai frutti della tenuta.

Un luogo particolarmente adatto, considerata la vicinanza al Parco del Pollino, anche per il soggiorno degli amanti dello sport (e delle loro famiglie). Si può, infatti, praticare equitazione, tiro con l’arco, trekking, mountain bike, vela e pesca sportiva. Senza nemmeno uscire dalla tenuta stessa, infine, si può visitare una grotta dove sono stati recentemente ritrovati fucili della fine dell’Ottocento, sicuramente appartenuti a briganti che qui hanno trovato riparo.

Perché non va mai dimenticato: i lucani saranno pure un popolo docile ed ospitale, ma nel loro DNA il senso di difesa della propria terra li ha trasformati negli autoctoni più difficili da sottomettere della storia recente.


Testi  Maristella Mantuano

Foto  V. Liotine




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